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I Social sono dannosi per i minori?
Nuovi studi lo dimostrerebbero

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Da anni ormai sentiamo parlare dei rischi ai quali i minori che utilizzano i social media sono esposti, ma il dibattito sembra essersi accentuato negli ultimi mesi.

Ma perché tutto questo clamore?

Da un lato, ci sono problematiche legate al cosiddetto “sharenting”: si tratta di un neologismo inglese, nato dalla fusione tra “to share” e “parenting”, ovvero “condividere” e “genitorialità”. Sempre più spesso, infatti, i genitori, in particolare i neogenitori più giovani, amano condividere foto e video dei loro figli sin da piccolissimi o, addirittura, prima ancora della loro nascita, documentando momenti della gravidanza.

Tra i rischi maggiori c’è sicuramente l’esposizione, anche involontaria, di contenuti inappropriati: anche solo un video o una foto pubblicata per mostrare l’outfit di un bambino possono essere contenuti per pratiche di adescamento di minori, chiamato “cybergrooming”. In altri casi, invece, si hanno veri e propri casi di “baby influencing”: si tratta di bambini che diventano dei “mini” influencer, mostrando cosa fanno durante il giorno e sponsorizzando anche prodotti, ad esempio giocattoli. Il minore in questione diventa, dunque, un influencer, ma nessuno sa con certezza se sarà lui a ricevere il guadagno del suo lavoro o i suoi genitori.

E quindi, quanto è lecito, considerando tutti questi problemi, esibire i minori in questo modo o lasciare che lo facciano autonomamente senza un controllo più serrato dei genitori?

Per via di questi rischi, si è fatta sempre più insistente la richiesta di nuove leggi per tutelare i più giovani. Ad esempio, per quanto riguarda lo sharenting e il fenomeno del baby influencing, alla Camera e al Senato sono già state fatte delle proposte di legge, come portare a utilizzo commerciale l’immagine dei minori sui social se utilizzata a scopi pubblicitari. In questo modo, verrebbe considerata lavoro minorile, proprio come già accade da molti anni in radio e in tv, facendo valere le stesse regole: ore limitate di lavoro e uno stipendio depositato su un conto intestato direttamente ai minori.

Ma i rischi per i più giovani non sono legati solo alla loro esposizione da parte dei genitori: secondo un gruppo di pedagogisti e psicoterapeuti, un uso prolungato dei social sta compromettendo lo sviluppo di alcune competente neurocognitive fondamentali, oltre ad ulteriori aspetti importantissimi dell’infanzia, come il gioco libero o l’esperienza sensoriale. I bambini e i ragazzi passano sempre meno tempo a coltivare le proprie passioni o a dedicarsi ad attività per il proprio sviluppo psicomotorio, preferendo trascorrere il loro tempo libero sui social.

Per via di queste nuove scoperte, è stato richiesto in questi giorni un nuovo provvedimento: vietare ai minori di 16 l’utilizzo di qualsiasi social media. Questa misura sembra sia già quasi una realtà in Australia, dove il governa intende fissare un’età minima per l’utilizzo dei social tra i 14 e i 16 anni.

D’altro canto, c’è ancora chi sostiene che non si debba vietare l’accesso ai social a nessuno, soprattutto ai giovani. Tra i benefici indicati da chi supporta questa visione ci sono sicuramente la possibilità per i ragazzi di ampliare le proprie relazioni sociali e lo sviluppo di competenze digitali, linguistiche e creative. Inoltre, per molti i social media possono anche contribuire ad una maggiore partecipazione dei più giovani a iniziative di solidarietà o attivismo.

E tu, cosa ne pensi? Credi che basti un maggiore controllo dei genitori per limitare i rischi o servono misure più drastiche?

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